Due sentenze della Cassazione sui ricorsi gratuiti ispirati all’articolo 36 della Costituzione danno ragione a ITAMIL. 

03.11.2025

Negli ultimi mesi si è scatenata una campagna polemica contro i ricorsi ITAMIL, promossi a titolo gratuito per i nostri iscritti, quasi che rivendicare un diritto costituzionale fosse un atto di ribellione mentre per accaparrarsi consensi c'è chi promette trasferimenti.

Da un lato, giuristi improvvisati e sindacalisti "di professione opportunisti" che attaccano chi non si piega.

Dall'altro, un'organizzazione, la nostra, che da anni denuncia con numeri alla mano una perdita salariale che sfiora i 25.000 – 30.000 euro a militare in vent'anni di contratti bloccati e rinnovi senza risorse.

La realtà che nessuno vuole ammettere

Dal 2006 a oggi, tra blocchi contrattuali (2010/2016), indennità ferme e il lavoro straordinario pagato in modo forfettario per i bon dirigenti (CFI e CFG), i lavoratori in uniforme hanno visto erodere il proprio potere d'acquisto.

Se i contratti avessero seguito un percorso regolare, oggi uno stipendio medio del comparto dovrebbe valere almeno 700/800 euro in più al mese.

Eppure, quando ITAMIL ha scelto di non firmare un contratto "senza negoziazione e senza risorse adeguate", qualcuno gridò allo scandalo.

C'è chi, invece di unirsi nella battaglia per la dignità economica, ha preferito voltarsi dall'altra parte verso coloro che hanno firmato il contratto, illudendosi che un favore personale valga più di un diritto collettivo.

A costoro, noi rispondiamo con i fatti. E con la legge.

Le sentenze che cambiano la storia

Due pronunce della Suprema Corte — la n. 28230/2023 e la n. 27711/2023 — hanno aperto una breccia che nessuno potrà più chiudere.

Per la prima volta, la Cassazione ha affermato che il contratto collettivo non è più misura assoluta della giusta retribuzione prevista dall'articolo 36 della Costituzione. Il giudice, infatti, può disapplicare il CCNL quando lo stipendio, pur formalmente corretto, non assicura un'esistenza libera e dignitosa.

In altri termini: se la paga non basta a vivere, il contratto perde valore giuridico.

Come chiarisce la sentenza n. 27711/2023, «nessuna tipologia contrattuale può ritenersi sottratta alla verifica giudiziale di conformità ai requisiti sostanziali stabiliti dalla Costituzione».

È un'affermazione dirompente, che restituisce all'articolo 36 tutta la sua forza normativa: la dignità del lavoratore è superiore a qualsiasi accordo firmato tra parti sociali.

La giungla dei contratti e il lavoro povero

Nelle motivazioni della Corte emerge un quadro impietoso: 946 contratti collettivi censiti dal CNEL nel solo settore privato, una selva di accordi spesso sottoscritti da sigle poco rappresentative, talvolta create ad hoc per abbassare i salari.

È in questa confusione che è prosperato il lavoro povero: milioni di italiani che, pur lavorando, vivono in condizioni di precarietà. La Cassazione ha scelto di intervenire, ridando al giudice il potere di valutare non solo la "quantità" ma anche la qualità della retribuzione.

Il ruolo del magistrato

Le sentenze aprono scenari inediti. Il magistrato, nel valutare la conformità della retribuzione all'articolo 36, potrà:

1. Applicare un CCNL alternativo più rappresentativo, anche se diverso da quello usato dal datore di lavoro;

2. Stabilire soglie minime di dignità basandosi su indicatori ISTAT di povertà.

3. Imporre un adeguamento salariale quando il compenso non garantisce una vita libera e dignitosa.

Si tratta di un potere che potrebbe estendersi anche al pubblico impiego, inclusi i comparti speciali come quello militare, dove le retribuzioni sono fissate da norme pubbliche ma non per questo esonerate dal rispetto dei principi costituzionali.

ITAMIL e la dignità del lavoro militare

Chi oggi denigra i ricorsi ITAMIL dimentica che l'articolo 36 vale per tutti, compresi i militari. Le retribuzioni delle Forze Armate, pur definite per legge, devono comunque rispettare i principi di proporzionalità e sufficienza.

Il fatto che gli stipendi siano "pubblici" non significa che siano automaticamente "giusti". Anzi, proprio perché vincolati a decisioni politiche e contrattuali spesso prive di reali risorse, necessitano di un controllo ancora più rigoroso.

Conclusione: la schiena dritta di coloro che hanno tradito la nostra battaglia

In un tempo di compromessi e illusioni, ITAMIL sceglie di stare dalla parte della Costituzione e dei propri iscritti.

Non abbiamo firmato, non firmiamo contratti al ribasso, non accettiamo trattamenti forfettari che sviliscono il lavoro.

E a chi ci ha voltato le spalle, dedicheremo — con serenità — le nostre conquiste e il nostro coraggio.

Perché la dignità non si negozia.

E la giustizia, quando si fonda sull'articolo 36, non si piega a nessuno.


Fonte d'ispirazione della notizia: www brocardi.it 

Puoi aderire al ricorso gratuito iscrivendovi al Sindacato ITAMIL ESERCITO entro il 31 dicembre 2025